L’empatia al centro dello spazio.
Progettare uno spazio vuol dire creare dal nulla un luogo nuovo.“Gettare in avanti” qualcosa che non esisteva. E proprio perché non esisteva quando inizia a “esistere” chi ne fruisce spesso è “obbligato” a stare nel progetto stesso. Senza aver avuto la possibilità di scelta. Senza alcuna voce in capitolo.
Quante volte passeggiando tra le architetture contemporanee anche di famose archistar ho sentito dire …”ma a chi è venuto in mente di fare questa cosa?…ma l’architetto non ha pensato che magari qui ci vengo con i bambini e il metallo che in estate diventa rovente non va bene?”…e così via.
Sempre più spesso vediamo spazi calati dall’alto dalla mano e dalla mente dell’architetto che asseconda comunque le sue pulsioni…e allora non ci resta che diventare spugne delle giuste lamentele degli utenti che non sono stati presi in considerazione durante la fase di ideazione progettuale…e far finta di non essere i fautori di quel disagio (uno dei vantaggi di non essere un’archistar è quella di passare del perfetto anonimato).
Ecco…trovo che un progetto che non tiene conto di chi lo vive sia un progetto sbagliato, ed è un concetto che nel progettare contemporaneo deve essere scardinato.
Come si evince dal titolo di queste poche righe, alla base di tutto il percorso progettuale e del risultato che ne deriverà deve esserci l’Empatia.
Ma cos’è l’empatia e cosa c’entra con la progettazione?
La prima volta che mi sono imbattuta nell’empatia mi sono resa conto che studiando e approfondendo questo concetto sarei diventata un architetto e probabilmente anche una persona migliore…si ok sembra una frase fatta…però mi sono resa conto dell’enorme verità che ne sta alla base.
Empatia è la capacità di comprendere lo stato d’animo altrui, sia che si tratti di gioia, che di dolore.
Empatia è “sentire dentro”, “mettersi nei panni dell’altro”…una capacità che fa parte dell’esperienza umana ed animale senza il filtro di attitudini affettive personali (simpatia, antipatia) o giudizi morali.
Empatia, intesa come la capacità di “mettersi nei panni dell’altro” percependone il punto di vista e “sentendo dentro” le sue emozioni pur rimanendo sé stessi. Animali e bambini molto piccoli hanno molto da insegnarci su questo tema, essendo puro istinto affettivo.
Se trattiamo quindi l’empatia come la capacità di assumere la prospettiva di un altro capiremo quanto sia importante che questo modo di intendere la vita si diffonda anche nel design e nell’architettura che hanno e devono avere la missione di coniugare utilità e bellezza.
“Architetto…si ok…è bella questa soluzione ma…questa è casa mia, ci devo vivere io…si metta nei miei panni!!”
“Architetto è incredibile come sia riuscito a capire cosa intendevo quando le ho parlato di cosa significa la casa per me!”…
Due approcci diversi che generano reazioni diverse…è fondamentale capire chi vivrà lo spazio e cosa si aspetta da esso per non cadere nella prima frase. E sbagliare la progettazione di uno spazio commerciale, non capire le esigenze dell’utenza vuol dire generare non solo un mancato guadagno ma una perdita economica.
Laura Boella, docente di Filosofia Morale all’Università degli Studi di Milano e membro del comitato etico di Fem, ha detto: «L’empatia mette in collegamento il design con la vita, ciò che è bello e utile con la natura umana, entrando in sintonia anche con la sua imperfezione».
La conoscenza approfondita degli utenti è il punto di partenza nell’ideazione di un prodotto. L’empatia, cioè la capacità di immedesimarsi e di comprendere i bisogni prima di creare soluzioni, è basilare per il lavoro di un progettista.
Ma cosa vuol dire in particolare nella farmacia progettare mettendo l’empatia al centro dello spazio?
Se noi ci chiediamo “Per chi stiamo progettando? Come il nostro cliente si muove all’interno dello spazio farmacia? Perché?” avremo un negozio in grado di sostenere la competitività sui mercati assicurando un ritorno economico.
Le persone pensano, valutano e riflettono, ma poi decidono e acquistano anche e soprattutto attraverso le emozioni. Per comprendere cosa avviene, ci supporta il processo di empatia che diventa uno strumento formidabile nella fase di indagine e di comprensione dei comportamenti e dell’universo delle persone.
Il cliente ha bisogno di: emozionarsi, sentire, riconoscersi, essere ascoltato. Se nel tuo negozio si sentirà a suo agio riuscirà a sentirsi libero di acquistare senza la barriera della paura.
Ogni segno progettato stimola la sfera sensoriale di ciascuno di noi; questa a sua volta è in grado di attivare la memoria di esperienze pregresse connesse a sensazioni di benessere, fiducia e appartenenza.
Il compito del progetto interior design in farmacia non è solo quello di spingere all’acquisto, ma piuttosto quello di veicolare i propri valori, diventando esso stesso contenitore di valori.
Il ruolo attivo del cliente diventa centrale; il modo in cui viene chiamato a interagire con lo spazio attraverso attivazioni sensoriali e comportamentali, concorre alla creazione di un’esperienza.
La progettazione di farmacie con il design empatico significa coinvolgere il cliente nell’esplorazione attiva dello spazio della farmacia.
Ma quali potrebbero essere le caratteristiche di un progetto empatico?
Come detto fino ad ora non esiste una ricetta “buona per tutti”. Costruire uno spazio empatico non vuol dire fare uno spazio verde, giallo, rosso o blu a seconda del nostro gusto personale.
Ci sono però dei caratteri che possono essere sempre veri, magari declinati in forme diverse.
In linea generale può valere il principio di azzerare le distanze tra chi vende e chi compra. L’autorevolezza non passa per forza da una cattedra…anzi. Quindi stimolare il contatto, il consiglio. Far sentire il cliente a proprio agio, accompagnandolo nell’acquisto.
Lasciarlo libero di non preoccuparsi del turno dandogli il famoso “numerino del salumiere”.
Pensare a punti di incontro…che possono essere angoli dove degustare delle tisane, dei mini-salotti dove passare del tempo, dove leggere e informarsi sulla propria salute.
Dove poter parlare con qualcuno che ci dia un consiglio, che capisca i nostri bisogni.
Che banca forse lo ha capito per primo…ha fatto sparire i banchi con il vetro antiproiettile, antirapina, antitutto e li ha scambiati con dei comodi salottini. All’inizio nessuno li ha seguiti…ora le banche hanno eliminato gli sportelli.
Sostituendo le operazioni di routine con l’home-banking e lasciando alla banca la coltivazione dei rapporti di fidelizzazione del cliente. Il tutto togliendo i banchi e mettendo al loro posto dei divani. E le banche di soldi se ne intendono!
Pensiamo a come sarebbe bello andare in quella farmacia e trovare un luogo dove sono raccolti libri e volumi sulla cura di noi stessi. Avere una persona che si è occupata di scegliere per noi le parole giuste sul nostro benessere fisico e psicologico.
Magari con anche la ricetta del giorno per chi, da celiaco, non sa cosa cucinare.
Magari la nostra farmacia si trova in un quartiere pieno di giovani mamme che non sanno bene come funziona il loro piccolo nuovo fagotto…quante lacrime ho versato da neo-mamma perché non sapevo che fare!
E allora piuttosto che avere a disposizione solo il consultorio, sarebbe stato bello avere un posto con qualcuno che ha il sorriso sulle labbra e che mi dice “vedrai che andrà tutto bene”…come sarei tornata volentieri in uno spazio dove mi sento a mio agio, capita e non giudicata, consigliata e non abbandonata.
O magari viceversa ci troviamo in un quartiere dove c’è un numero importante di anziani…magari a loro può essere dedicato uno spazio dove trovarsi a parlare. Perché no? Magari giocare a carte e passare del tempo mentre il farmacista prepara la sua “pozione magica” per farmi stare meglio.
Magari il luogo dove si preparano le pozioni magiche può essere messo in evidenza…è nel laboratorio che il farmacista ha sempre svolto il suo Mestiere…per chi fa preparazioni può essere importante farlo vedere. I clienti adorano l’artigianalità (e da brava brianzola lo so bene)…
Magari la nostra farmacia è in un quartiere universitario di Milano dove c’è un’enorme concentrazione di giovani “tecnologici”…forse a loro piacerebbe un po’ di realtà virtuale in farmacia, raccogliere informazioni con lo smartphone, salvare i prodotti nella loro lista dei desideri e farseli portare a casa!…
Oppure siamo a Courmayeur…tanti sportivi…magari nella farmacia possono trovare dei simulatori per provare i tutori e i calzari più adatti, vivere delle esperienze e magari fare un cardiogramma sotto sforzo e comprare quei multivitaminici eccezionali che il mitico farmacista ha preparato proprio per me guardando i miei esami del sangue.
Come sarebbe bello sentirsi capiti…
Così come abbiamo bisogno di arte…questa cosa di cui tutti parlano ma che nessuno fa…perché l’arte non può entrare in farmacia? Perché non possiamo avere un percorso che stimola i nostri sensi, cattura la nostra attenzione e la nostra curiosità…abbiamo bisogno del bello e abbiamo bisogno di vivere delle esperienze forti, da ricordare. La moda lo ha capito molto bene…provate ad andare a fare un giro da Moncler in via vittorio Emanuele a Milano…
Ecco. Questa è la progettazione empatica. Conoscere il proprio cliente e progettare con lui e per lui. Non per noi. Perché sentirsi bene in uno spazio è far stare bene chi lo vive. E quando ti senti a casa è lì che vuoi tornare.
Gran bel Blog, brava Pozzi
Grazie Pier!